Focus on... Oratorio e Scuola

Durante la pandemia, in tante diocesi e quartieri si è vista consolidarsi l’alleanza educativa fra scuole e oratori. Incentivate da una necessità, queste due realtà sembrano iniziare a parlarsi, camminando verso un incontro che, reso difficile dall’autoreferenzialità e dalle differenze strutturali e di stile, è però inevitabile, perché entrambe le proposte sono al servizio delle stesse persone. Cercare un rapporto qualificato con gli ambienti di vita dei ragazzi è strategico per averne cura. La rete fra agenzie educative non si autogenera: va sognata e va intenzionalmente ricercata. 

Già prima dell’emergenza sanitaria però, alcune azioni sembravano aprire spiragli in questo senso: negli anni, abbiamo visto nascere sempre più spesso e un po’ ovunque doposcuola, progetti di educazione ambientale e civica, eventi a contenuto scolastico, ma animati da catechisti d’oratorio. La prospettiva verso cui tendere è quella di presentare una proposta che dica ai ragazzi che scuola e oratorio, con le loro famiglie, sono realtà che vogliono collaborare per aiutarli a diventare grandi. Perchè questo è il punto: accompagnare i ragazzi a trovare la propria strada, in un percorso che abbia come meta quello che la scuola chiama orientamento e quello che l’oratorio chiama vocazione.

Questo punto di incontro diventa nevralgico per la fascia dei preadolescenti, soprattutto per i ragazzi che quest’anno frequentano la III media e che entro il mese di Gennaio dovranno scegliere a che scuola iscriversi dopo, svantaggiati spesso da open day non vissuti in presenza, ma a distanza.

Il primo elemento da tenere ben presente è che non possiamo dare risposte che spettano ai ragazzi! Non siamo chiamati a dirgli che scuola dovranno fare, ma a porgli le giuste domande. Che equivale a guardarli con il giusto sguardo.

Spesso si associa l’orientamento alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?”. Eppure, non sarebbe meglio chiedere ai ragazzi: “cosa vuoi essere da grande?”. L’idea non deve essere di farci dire dai ragazzi cosa gli piace fare, ma con che linguaggio vorranno abitare il mondo. 

La rete che auspichiamo ci si impegni a costruire fra famiglie, oratorio e scuola ha a cuore la crescita dei ragazzi e vuole far coincidere il loro diritto a un futuro con il loro diritto a essere felici! Questo processo attraversa inevitabilmente due “educazioni”: l’educazione al desiderio e l’educazione al talento.

Educare al desiderio vuol dire non fossilizzarsi su ciò che manca e procedere quindi per esclusione (“Non sei bravo in italiano, quindi lo scientifico farebbe di più al caso tuo”: questa è una semplificazione e un giudizio!) quanto piuttosto pensare a ciò che non c’è come a ciò che non c’è ancora, ma potrebbe esserci domani. Educare a immaginarsi.

Educare al talento significa educare a capire che impronta sono chiamato a lasciare nel mondo: un talento è un timbro di grazia, qualcosa che trova il suo motivo di esistere nel dono, per questo si educa al talento educando a trovare il luogo dove ci viene naturale spenderci. 

Come catechista, ti invitiamo quindi a porti alcune domande, per provare ad accettare questa sfida:

  • Sei mai entrato in contatto con i professori delle scuole che frequentano i ragazzi?
  • Hai mai proposto alle famiglie un sportello anche su questi temi?
  • Hai mai approfondito con i ragazzi il loro rapporto con la scuola e il loro andamento scolastico? Hai mai pensato all’oratorio come luogo di studio?
  • Hai mai proposto alle altre realtà  del territorio che si occupano delle stesse fasce d’età degli incontri di formazione e eventi su questi argomenti?
  • Sei mai andato a farti una chiacchierata con l’assessore ai servizi educativi del tuo municipio?

Tutti questi primi passi sembrano difficili da compiersi, eppure potrebbe non essere così. Provare per credere, ma soprattutto crederci per provarci!

 

Ipotesi di attività con i ragazzi: 

  • Giochi di società “rivisitati” (ad esempio un mercante in fiera con le materie scolastiche, per scoprire che tutte sono preziose per costruire la mia personalità; un monopoli dove “spendere” per investire sul futuro; un domino dove associare talenti a vocazioni e così via)
  • Una versione rivisitata dei “talent”, che mostri il talento non come qualcosa su cui sfidarsi ma come qualcosa da restituire.
  • Un’attività per sognarsi qualitativamente prima ancora che professionalmente: “Immagina di scrivere il tuo curriculum da grande, cosa vorresti che dicesse di te? Quali esperienze ti piacerebbe aver attraversato?”
  • Per introdurre la riflessione sui talenti e sulle capacità potrebbe essere utile il film appena uscito su Disney + “Soul” nel quale viene evidenziato come i talenti di ognuno debbano essere al servizio della vita e non il contrario. Il talento non è la vocazione ma è semplicemente ciò che sai fare bene, mentre la vera vocazione è la chiamata stessa alla vita.

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